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SHINE A LIGHT
(SHINE A LIGHT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 aprile 2008
 
di Martin Scorsese, con Mick Jagger, Keith Richards, Ronnie Wood, Charlie Watts, Buddy Guy, Christina Aguilera (Stati Uniti, 2008)
 
Quanti, fra gli spettatori in comprensibile estasi davanti a questi Rolling Stones filmati da Martin Scorsese, avranno visto il Flauto Magico ripreso nel 1974 dalla cinepresa di Ingmar Bergman? Eppure, anche se gli Stones non sono Mozart e Scorsese è diverso dal grande svedese, le ragioni dell'incanto prodotto dai due film è identico. Tanto, che per “raccontare” SHINE A LIGHT potrei utilizzare i medesimi termini di allora. Dire della storia di una complicità, esaltante, commovente, fra un fenomeno musicale e un altrettanto fenomenale sguardo cinematografico; momento magico di simbiosi creativa, nel quale il cinema è al servizio della musica. Quando ogni movimento di macchina, scelta d'inquadratura, ritmo del montaggio, utilizzo degli assi di visione forniti al regista dalla ventina (!) di grandi direttori della fotografia, è in funzione dello spettacolo. Ma, egualmente, quando questo restituisce allo sguardo del cineasta, in un gioco di rinvii esaltanti che svela il vero cuore propulsivo del film, tutta l'energia creativa della quale è diventato debitore.

Se Martin Scorsese aveva già filmato (in tutt'altro modo) nel 1978 la The Band di Bob Dylan in L'ULTIMO VALZER, fra il cineasta e gli Stones c'è però sempre stata una storia d'amore prioritaria: Jumpin' Jack Flash risuonava già in MEAN STREETS, Gimme Shelter nell'ultimo THE DEPARTED come già prima in CASINO assieme a Satisfaction, Monkey Man era in GOODFELLAS… Al contrario, confesso di essere sempre stato più Beatles che Stones, di aver esitato ad assistere alle due ore e due minuti dell'esibizione degli ormai incartapecoriti, anche se ancora palestrati, miti del rock. Mai dire mai: della straordinaria gestualità ritmica di Mick Jagger, dell'incredibile vitalità di un sex-appeal che si staglia sugli ori barocchi, divorato dalle illuminazioni infernali del Beacon Theatre di Broadway, non si vorrebbe vedere il termine. Così come delle fulminee intuizioni dell'autore di TAXI DRIVER nel cogliere lo sfinimento guerriero di Keith Richards, ansimante sulla sua chitarra al termine del concerto. E, non di certo da ultimo, dell'imprevedibile, eccitante resa musicale del concerto. Dovuta non solo ai formidabili mezzi tecnici che fanno letteralmente esplodere lo spazio volutamente contenuto di un palcoscenico scelto per un confronto che si vuole di un'intimità a fior di pelle. Ma di un intervento sugli arrangiamenti, sull'assieme di accompagnatori destinati a creare un inedito sostegno armonico e ritmico, sulla scelta degli ospiti (indimenticabile quello con il bluesman Buddy Guy) che compie l'ennesimo miracolo del film: quello di restituirci un'apparizione dei Rolling Stones sessantenni addirittura superiore a quella degli anni mitici. È il miracolo che nasce dall'incontro fra la protesta consunta del rock di Mick Jagger e compagni con il cinema del grande autore forse esausto di fiction: ma entrambi ancora capaci di annullare il trascorrere del tempo.


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